giovedì 22 dicembre 2011

La risoluzione del leasing traslativo

Nell'aprile del 2004 il tribunale di Milano rigettò l'opposizione proposta dal debitore principale e dal fideiussore avverso il decreto ingiuntivo ottenuto nei loro confronti da una società finanziaria quale parte concedente di un contratto di leasing avente ad oggetto attrezzature e arredi destinati alla ristorazione.
La corte di appello di Milano, investita del gravame proposto dai due debitori, lo rigettò a sua volta.
I due opponenti impugnarono la sentenza della corte territoriale con ricorso per cassazione
con cui i due ricorrenti formulavano il seguente quesito di diritto:
- Se, in tema di leasing traslativo, in caso di risoluzione anticipata ancorchè imputabile ad inadempimento dell'utilizzatore, questi non abbia diritto alla restituzione dei canoni corrisposti ex art. 1526 c.c. e sia tenuto a corrispondere i canoni a scadere maggiorati degli interessi convenzionali.
Il giudice della corte territoriale - esaminato il leasing traslativo ed evocata la giurisprudenza sull’applicabilità della norma di cui all'art. 1526 c.c., che prevede, in caso di risoluzione del contratto, la restituzione dei canoni già corrisposti da parte del concedente ed il riconoscimento di un equo indennizzo da parte dell’utilizzatore, per il godimento dei beni in ragione del loro utilizzo, - dichiarava nulla la clausola n. 12 del contratto di leasing, contenente la previsione dell'obbligo di pagamento in unica soluzione, da parte dell'utilizzatore, dei canoni non ancora scaduti.
 Tuttavia, la corte d’appello - sulla premessa secondo la quale la mancata restituzione dei beni da parte dell'utilizzatore avrebbe realizzato "una situazione con effetti analoghi a quella di regolare esecuzione del contratto" – affermava che l'equo compenso dovuto dall'utilizzatore potesse "essere quantificato nella entità del debito, compresi gli interessi convenzionali (conteggiati, questi ultimi, entro e non oltre il limite di legge)".
In altri termini, la corte territoriale, a parere della Suprema Corte, nonostante la declaratoria di nullità della clausola contrattuale dianzi citata, ne riesumava gli effetti.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, afferma, invece, che tale decisione si pone in aperto contrasto con il consolidato principio di diritto, secondo il quale il concedente, in caso di risoluzione contrattuale, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i canoni maturati fino al momento della risoluzione, “non può e non deve conseguire un indebito vantaggio derivante da un cumulo di utilità (somma dei canoni e residuo valore del bene), in contrasto con lo specifico dato normativo di cui all'art. 1526 c.c., norma di carattere inderogabile” (Cass. 27.9.2011, n. 19732).
Quale corollario del principio appena enunciato, la Corte di Cassazione ha altresì osservato che l'art. 1526 c.c. mira a “remunerare il solo godimento senza ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale […] dei beni concessi in leasing.

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